La mancata accettazione nella crisi


The-Counselor

AVVOCATO: Farò qualunque cosa mi consiglierà.

LEGALE: non ho nessun consiglio da darle.
AVVOCATO: dove possiamo parlare un momento?
LEGALE: stiamo parlando…
AVVOCATO: non sono sicuro che lei capisca la mia posizione..

LEGALE: e invece la capisco avvocato….

…..le azioni creano conseguenze che producono nuovi mondi e soprattutto mondi diversi. Dove i corpi vengono sepolti nel deserto quello è un certo mondo, dove i corpi vengono lasciati perché li trovino, quello è un altro…
e tutti questi mondi che prima ci erano sconosciuti devono essere sempre stati li, non crede?

AVVOCATO: non lo so…mi può aiutare?

LEGALE: La inviterei a rendersi conto della situazione in cui si trova avvocato.
Questo è il mio consiglio.
Non tocca a me dirle che cosa avrebbe dovuto o non dovuto fare..

..il mondo in cui cerca di riparare agli errori che ha commesso
è diverso dal mondo in cui ha commesso quegli errori..
lei adesso è ad un bivio e vorrebbe poter scegliere. Ma non può più farlo…

Può solo accettare..

La scelta è stata fatta tanto tempo fa..

LEGALE: è ancora li avvocato?
AVVOCATO: si..

LEGALE: Non la voglio offendere, ma gli uomini riflessivi spesso si ritrovano in un luogo lontano dalla realtà della vita..
..in ogni caso dovremmo tutti prepararci un posto, dove poter accogliere le tragedie che prima o poi colpiscono le nostre vite,
ma questo è una precauzione che pochi mettono in pratica..


Un avvocato di successo, il cui nome non viene mai pronunciato, in un momento di difficoltà economica e professionale decide di accettare la proposta di Reiner, affiliato malavitoso nonchè suo vecchio cliente. Westray, collaboratore di Reiner nei suoi traffici di droga, prova a mettere in guardia l’avvocato sulla difficoltà di questa vita e dell’operazione stessa, ma sarà inevitabile per lui venir risucchiato da quel mondo di violenza e morte. Riportando questo breve scambio di battute estratto da THE COUSELOR – IL PROCURATORE un film diretto e prodotto da Ridley Scott, la cui pellicola è basata sulla prima sceneggiatura originale dello scrittore Cormac McCarthy; andiamo a mettere l’accento sulla criticità della mancata accettazione delle situazioni di crisi in cui molte volte ci troviamo. L’avvocato si dimena in uno stato di tensione e agitazione che solo la lucidità della voce all’altro capo del telefono può placare, gettandolo nell’angoscia in quella che è la reale situazione, ovvero rendersi conto della situazione in cui si trova; che le scelte che lo hanno portato fino a lì sono già state fatte in un tempo passato, che le situazioni create hanno portato lui, in una concatenazione di eventi fino alla condizione per cui non può far altro che rendersene conto ed accettare solamente.

“il mondo in cui cerca di riparare agli errori che ha commesso
è diverso dal mondo in cui ha commesso quegli errori..”

Il tempo passato rimarrà tale. Il tempo per cui decidere cosa avrebbe dovuto o non dovuto fare è passato. Lo spazio per preparare un posto dove poter accogliere le tragedie che prima o poi colpiscono la vita di ognuno di noi è una precauzione che pochi mettono in pratica.

Ora si abita un altro tempo.
Ora si è ad un bivio, dove le scelte che vorremmo fare, non si possono più fare.

Si può solo accettare.

La caduta del mondo in cui abitavamo ci trascina traumaticamente in una condizione di solitudine. In un reale che ci agita, ci angoscia. Sperimentiamo una volontà di vicinanza verso l’altro che seppur vicino non ci può aiutare..o meglio non può dirci cosa fare o non fare, non può toglierci quella sensazione di dosso, tanto più se siamo ancorati ad un passato, ad un mondo passato e decaduto. Siamo gettati lì da soli con noi stessi. Ci portiamo addosso quel che siamo. Le possibilità di azione ci paiono ridotte così drasticamente che demandiamo ad un altro il meglio da fare. Sappiamo e sembra che non ci sia più margine di azione in quel mondo e così si riporta insistentemente quello passato nel presente, chiedendo aiuto ad altro per poter agire ancora in quel mondo in caduta, per salvare il salvabile, per tornare a come era prima..

AVVOCATO: Faro qualunque cosa mi consiglierà.
LEGALE: non ho nessun consiglio da darle.
AVVOCATO: dove possiamo parlare un momento?
LEGALE: stiamo parlando…
AVVOCATO: non sono sicuro che lei capisca la mia posizione..

LEGALE: e invece la capisco avvocato…

…le azioni creano conseguenze che producono nuovi mondi e soprattutto mondi diversi. Dove i corpi vengono sepolti nel deserto quello è un certo mondo, dove i corpi vengono lasciati perché li trovino, quello è un altro…
e tutti questi mondi che prima ci erano sconosciuti devono essere sempre stati li, non crede?

AVVOCATO: non lo so…mi può aiutare?
LEGALE: La inviterei a rendersi conto della situazione in cui si trova avvocato.

…il mondo in cui cerca di riparare agli errori che ha commesso
è diverso dal mondo in cui ha commesso quegli errori..
lei adesso è ad un bivio e vorrebbe poter scegliere. Ma non può più farlo…

Può solo accettare..

L’accettazione non è solo un tempo, ma è anche uno spazio. Un luogo in cui poter raccogliere e raccogliersi. Prender tempo e spazio per accogliere consapevolmente lo stato in cui si versa per poter in un secondo tempo cambiare verso. Elaborare una visione diversa. Scegliere.
La crisi ci porta a scegliere. A separare. A prendere le distanze.
Le diverse manifestazioni psichiche di una crisi variano e si declinano rispetto ad ogni persona, al luogo, al tempo e rispetto alla persona medesima. Entrambe queste parole – crisi e scelta – sono legate etimologicamente al tempo della separazione. E ogni separazione porta in seno un tempo per la sofferenza. Una sofferenza per la condizione perduta, per lo stato di benessere lasciato, per un evento inaspettato o non ancora accettato, una sofferenza dello stato in cui ci ritroviamo.
Saperlo accettare ci permette di prendere le distanze da quel tempo ormai perduto, da quel mondo che ha cessato di esistere, per poter dare nuovo senso al mondo nuovo che va schiudendosi, nel quale noi abiteremo diversamente. Ad esempio nel “lavoro del lutto” ricordare faticosamente assume in sè la condizione di lasciare nel passato il nostro oggetto d’amore (qualsiasi oggetto: situazione, persona, animale) e non di insistere nella non accettazione della perdita, di insistere nel tempo della perdita.
Ricordare significa fare faticosamente esperienza dell’assenza, averlo presente nella presenza della sua assenza. Averlo presente nel ricordo per colmare la sua assenza nella realtà.
Le diverse crisi cui andiamo incontro portano con sè un cambiamento obbligato a cui non possiamo fare altro che dedicarci, poiché è difficile andare avanti ma non si può non farlo. Accettare e sperimentare il diverso permette di non inchiodarci stabilmente al passato o ciò che è già avvenuto.

“Le azioni creano conseguenze che producono nuovi mondi e soprattutto mondi diversi.
Dove i corpi vengono sepolti nel deserto quello è un certo mondo, dove i corpi vengono lasciati perché li si trovino, quello è un altro…
e tutti questi mondi che prima ci erano sconosciuti devono essere sempre stati li, non crede?”
 .

Perdere la garanzia di una continuità col passato ci espone ad una angoscia che va trattata, il senso di smarrimento ci può si far smarrire ma anche trovare nuove strade. Un mondo che va schiudendosi sulle macerie di quello passato, che pone le basi per nuovi significati e nuove mura in cui muoversi, che sono sempre stati li e aspettavano un diverso incontro. Ma cosa significa che sono sempre stati li? Cosa significa che aspettavano un diverso incontro?
Un mondo nuovo è il mondo nel quale ci ritroviamo e che non poteva che attenderci, appellando una nuova significazione in base al nostro trascorso. Siamo chiamati in causa e responsabilizzarci rispetto a quanto abbiamo.
Questo nuovo mondo in cui ci apprestiamo ad abitare sembra così esser sempre esistito, insieme a quelle azioni che creano conseguenze che producono nuovi mondi e mondi diversi in cui poter nuovamente abitare.
Ricordandoci sempre che un nuovo mondo non necessariamente si schiude solo per causa di eventi esterni, ma può schiudersi anche dentro di noi, quando sentiamo che la realtà, per come la abitiamo, ha necessità di essere riòsignificata diversamente e poter quindi abitarla con ciò che ne consegue.

La chiusura del mondo

shame-01

Shame è un film del 2011 diretto da Steve McQueen.

La storia è quella di Brandon, elegante uomo d’affari completamente asservito ai suoi bisogni sul sesso, un bisogno che si tramuta in patologici e compulsivi atti onanistici e carnali.


Un problema così intimo e radicato che la sua vita quotidiana trascorre senza che tutto ciò trapeli a livello esterno. Fino all’arrivo in casa della sorella minore Sissy spigolo duro della sua vita che potrà condurlo o meno ad un cambiamento, ma che nel suo caso amplificherà il vortice di perdizione e depravazione forse senza ritorno.
Un film sulla dipendenza sessuale e amorosa, dove i rispettivi interpreti di queste posizioni sono Brandon e la sorella Sissy. Entrambi dipendenti, entrambi incapaci di stabilire un incontro con l’altro, di stabilire un incontro intimo con le altre persone.


Le azioni che aspirano i due soggetti li inchiodano ad una ripetitività difficile da scardinare, una ripetitività che per quanto punti ad un godimento, questo si rivela mortifero, uguale a se stesso, che non provoca alcuna apertura sul mondo poiché ogni essere umano attraverso cui si rapportano è ridotto ad oggetto e non ad un altro diverso con cui stabilire un incontro da cui può scaturire l’entrata in contatto con diversi aspetti della loro persona. L’incontro suppone l’esporsi per quel che si è. Shame – vergogna – preannuncia una possibilità, ma che prende il verso della chiusura del soggetto. Chiusura individuale rispetto all’altro con il quale si parla ma non vi è dialogo, incontro.
Le azioni che Brandon compulsivamente mette in atto sono azioni che consumano, che devastano i corpi, orgasmi che sembrano non dargli piacere ma rivelano un volto quale maschera di dolore. Da quegli incontri non segue alcuna intima progettualità, alcuna apertura sul mondo, alcuna messa in gioco del soggetto.

Ogni rapporto sessuale è cancellato dalla ricerca di quello successivo.

Le scene di sesso e la sofferenza assumono una ripetitività che non lascia spazio ne al sensuale ne all’erotico, che presuppongono la presentificazione dell’altro come persona e non come oggetto, un incontro con un interlocutore diverso da sé. L’altro, qui, non esiste, ma esiste solo il soggetto alle prese con tutto ciò che – con la dipendenza sessuale lui e con la dipendenza amorosa lei – distanzia. L’altro è precluso così come il  mettersi in contatto con sè stessi, possibilità che può dare la vergogna.
Brandon è assoggettato, aspirato dalla ricerca del sesso che fa di lui ciò che vuole così come la sorella nella sua continua ricerca d’amore, costringendola nel ruolo di vittima da accudire ed amare, posizione da cui non trae alcuna soddisfazione.

Entrambi hanno lasciato il palco ad uno sceneggiato che non gli appartiene, di cui non sono interpreti ma solo esecutori.

shame-michael-fassbender-nicole-beharie1

Ma cosa significa un incontro che schiude ad un apertura sul mondo? Un incontro che predispone il soggetto a diversificare le proprie azioni, ad esporsi al non conosciuto, all’aprirsi alle contingeze della vita? Ad essere interprete e non esecutore? Sicuramente essere esecutori di una realtà calata dall’alto ci impossibilita di abitarla con margini di azioni differenti o che abbiano sapori differenti. Azioni che non riducono, restringono il nostro campo di azione, ma che lo allargano, ci permettono di agire sul mondo che va schiudendosi, di esprimerlo in maniera diversa. Un incontro per Brandon sempre mancato, mai avvenuto. Un incontro che sembra poter avvenire. Incontro dove il rapporto sessuale non esiste, che lascia spazio, posto, a qualcos’altro.. a qualcun altro.. come la collega con la quale ha iniziato a frequentarsi.

Un’apertura forse vertiginosa. Un troppo a cui non è pronto.


Lacan affermava : “non c’è rapporto sessuale”. Ma cosa significa?

Che in questa volontà di godimento, di due volontà di godimento sessuale, ognuna è rassegnata all’esilio rispetto all’altra. Non faranno mai un Uno con l’Altro. Una via possibile che possa fare da ponte tra i due soggetti, sul vuoto incolmabile del rapporto sessuale che non cessa di non scriversi, allora si giocherà su un altro piano, quello dell’amore.

Amore come un “segno” della presenza dell’Altro che rivela una propria mancanza, elevando l’Altro come causa del nostro desiderio. Desiderio che ci agiterà, che puntando alla sua particolarità, alla sua radicale eterogeneità, ci farà emergere come soggetti non più assoggettati ad una ricerca continua e ripetitiva di un oggetto nuovo che colmi la nostra mancanza. Ma il “segno” d’amore di un Altro che la sveli.

L’uomo e la donna conservano infatti tra loro una radicale diversità, incolmabile.

L’uomo, come ben rappresentato dal protagonista, è attratto e gode dei corpi, del pezzo di corpo. Asservito alla ricerca continua del dettaglio. Quella forma, quella traccia, mai corrispondente pienamente a quella ricercata. La sessualità maschile, in particolare quella del protagonista, orienta il suo desiderio sull’avere, sul possedere.

Dominato da questa ricerca specifica, manca costantemente l’incontro con la particolarità dell’Altro, non vede la persona che ha di fronte poichè per lui è importante più il corpo del nome.

La donna qui, anche lei spinta verso un rinnovato ritrovamento di qualcosa, si incista inconsapevolmente in una ricerca affannosa, che si esprime nella domanda d’amore. Svincolata, la posizione femminile, dalla ricerca del pezzo, dalla ricerca del godimento idiota che non si pone domande, la espone ad un altra fragilità, nella ricerca continua di conferma dell’essere nel desiderio dell’Altro.

Ecco dunque, come la domanda d’amore, nella sua ripetizione, diventa un argine alla propria fragilità, alla propria insicurezza derivante da una mancanza.

Allora l’amore andrà a certificare quell’incontro quotidiano dell’altro in quanto Altro. A certificare la nostra posizione verso le contigenze della vita che costantemente ci mettono di fronte al nuovo, al non ancora conosciuto.