Solitudini

Una solitudine imposta o meno dall’Altro puó far emergere gradatamente la domanda della sua presenza.
Una domanda di diversa presenza dell’Altro e nell’Altro. Di una nostra diversa presenza nell’Altro.
La solitudine è una declinazione del legame.
La condizione di solitudine è anch’essa legame.
Ricercata o meno, rileva che siamo all’interno delle sue corde.
Una volta assunta la posizione di solitudine, questa può permetterci un ascolto di noi stessi, un confronto con noi stessi, in cui, a ben vedere, l’Altro è sempre presente. Verso cui cerchiamo costantemente di ri-posizionarci.

Quando, non solo come attualmente sta accadendo,  è rinviata ad ognuno dei membri della comunità la proprio solitudine, questa può farci scorgere come tale condizione possa essere un ristoro o una messa in questione del rapporto con l’ideale che abbiamo di noi stessi.

Quando si declina in una messa in questione del rapporto con l’ideale che abbiamo di noi stessi, all’orizzonte possiamo scorgere i nostri tentativi per congiungervi. La continua ricerca di aderirvi, spesso e volentieri risulta essere fatta solo di tentativi che fanno emergere di come il nostro movimento si scontri solo ed ulteriormente con il ri – congiungimento con i  tentativi stessi, poichè a ben vedere, come afferma Lacan “anche quando si fa qualcosa che riesce bene, non è proprio quello che si voleva”.

Questa discrepanza da dove proviene? Quali aspettative abbiamo di noi stessi? Da dove proviene questa aspettativa?

 

Ossessioni

Le forme del rimandare. Tutto si riduce a questo.

Alle diverse declinazioni e formulazioni che possono prendere: dall’attività psichica dei pensieri fino alle compulsioni. Un girare a vuoto in cui non vi è avanzamento, apertura sul nuovo.

All’Interno di questa cornice tutto è atto al congelamento della propria vita. La ripetizione, che qui si manifesta più palesemente, nella tendenza a rimuginare, nel girare a vuoto sugli stessi argomenti o comportamenti fino a mettere in atto azioni dettate da imperativi interni, ci porta a scorgere come il non scegliere, l’imporsi del dubbio o la quotidiana e minuziosa amministrazione della vita siano tutte forme del rimandare.
Ma rimandare che cosa?
Rimandare un nostro coinvolgimento più profondo con noi stessi e dunque con l’Altro. Un rimandare un incontro autentico con la vita e tutti suoi disallineamenti fatti di imprevidibilitá, ingovernabilità, caducità, scoperta e spesso e volentieri, accadimenti fuori di senso.

La governabilità che punta all’ordinario, all’immutabile, al silenziare le discrepanze, rispondono all’Altro con la formula:

“faccio tutto quello che vuoi ma non mi chiedere niente” .

Logica sottotraccia che mette in luce la volontà di mettere fuori gioco un incontro, una discussione più profonda di sé. Si mette fuori gioco l’incontro con la radicale eterogeneità dell’Altro. Il suo carattere sconosciuto e imprevedibile che viene messo a tacere facendo ciò che vuole, ma per essere lasciati in pace.
Non mi chiedere niente. Non incontriamoci perchè non posso espormi.
Quand’anche raggiungiamo la quiete più assoluta che ci avvicina all’immobilità della vita nell’atto di preservarla e preservarci, attraverso le diverse forme che le problematiche di natura ossessiva comporta, quest’ultime possono radicalizzarsi ancora di più, poiché il tarlo del nostro desiderio, delle nostre aspirazioni, dei nostri talenti, per quanto lì soffochiamo, non si possono silenziare.
Il rimandare è nella sua forma più estesa, l’attesa di vivere. Allontanare la chiamata alla vita. Posticipare l’incontro con essa al fine di non esporci.
C’è qualcosa di più, in noi, che chiede parola e vale la pena di dargli ascolto.


Allentare la rigidità che le problematiche di natura ossessiva comporta, ci permetterà uno slancio diverso: verso un amore, una passione, una quotidianità rinnovata, facendocene tollerare ed amare tutte le sue contraddizioni interne, fatte di imprevidibilità, differenze, discrepanze e disallinamenti preziosi.

Ansia

Le diverse caratteristiche degli stati d’ansia e dell’ansia più in generale sono sensazioni che ogni persona ha potuto sperimentare nella sua vita. Rispetto il loro verificarsi, si possono riscontrare in condizioni specifiche, in condizioni più generali e meno strutturate, cosi come se ne può riscontrare una diversa dispiegabilità nel tempo e nei confronti di determinate persone.

Lo stato di allerta, l’agitazione non giustificabile e stati d’angoscia sono spesso legati ad un interrogativo sotteso, che si muove sottotraccia, inconscio. Un interrogativo che fa da leva, nelle sue diverse formulazioni e possibili declinazioni:

Chi sono io per l’Altro?

Le sue diverse e possibili declinazioni possono essere: sto facendo bene? Se mi comporto così, se sono così, sono accettabile? Spesso e volentieri possiamo scorgere in noi che a queste domande rispondiamo direttamente, vivendo con ciò che ne consegue: uno stato d’ansia sul possibile riscontro di un giudizio atteso, l’agitazione di un possibile giudizio nonostante l’evidente impossibilità di combaciare con l’idea che ci siamo fatti dell’aspettativa altrui.

Tutto ciò ha la conseguenza di aumentare la nostra azione difensiva o attraverso la compiacenza, funzionale nel breve periodo, o l’irrigidimento, gli stati d’allerta e perchè no, fino ad avere crisi di panico e stati angosciosi.

Il riconoscimento non passa attraverso tutto questo. Spesso non passa attraverso a ciò che supponiamo che gli altri vogliono da noi. Perchè, a ben vedere, siamo più o meno tutti uguali in momenti diversi.

Attacco di panico

Il sintomo psichico del panico, e tutta la sintomatologia che ne consegue, può essere portatore di un significato. L’ attacco di panico, con i suoi diversi gradi di quantità e intensità, non casualmente trova la sua origine in coincidenza di accadimenti importanti nella propria vita: la perdita del lavoro, di una persona cara, una separazione, un ricongiungimento. Dunque un cambiamento che più in generale può avvenire anche sotto traccia, ma che risulta essere rilevante per la nostra psiche, per noi. In talune circostanze si può realizzare di essersi spesi ad adempiere più le aspettative altrui che le proprie e di aver tralasciato i nostri desideri, le nostre aspirazioni; altre volte la sintomatologia si presenta così decontestualizzata dall’avvenimento importante della nostra vita, che non ci permette di scorgene il legame. Ci costringe piuttosto a reagire con carattere di emergenza: si va dal medico, al pronto soccorso, si eseguono esami per poterne trovare la causa organica fino a quando si giunge ad apprendere di soffrire di attacchi di panico. L’attaco di panico ci costringe, anche se per alcuni con carattere di emergenza, ad occuparci di noi stessi.

Rileggendo la nostra storia, possiamo scorgere, attraverso un percorso terapeutico, dove ci siamo lasciati travolgere. Quali sogni, quali aspirazioni abbiamo lasciato da parte? Per quale motivo non trasformare una crisi in un’occasione di crescita?