Il non detto

Una studentessa modello che smette di andare a scuola regolarmente spinge i professori a preoccuparsi, tanto che sul lato familiare, nell’ultimo periodo, assentandosi definitivamente dall’ambiente scolastico, la madre è costretta a controllarla a vista. 
Al primo incontro l’angoscia è palpabile.
I genitori sono arrivati a pagare anche qualcuno per stare in casa con lei quando loro non possono alternarsi nel controllo per via degli impegni lavorativi. Perché?
Perchè nelle ultime settimane, oltre a rifiutarsi di proseguire con l’impegno scolastico, si è procurata dei tagli sulle braccia. 
Dopo le sedute preliminari, accompagnata dalla madre, lascia una delle successive sedute affermando che […] lasciando il professionista con una forte angoscia. 
Dalla settimana successiva si riuscirá però a mettere in parola il nodo centrale di quanto sia avvenuto. La morte della nonna materna risalente ai sei mesi precedenti. Una nonna così importante per lei da essere vissuta come una madre. 
Un lutto e una sofferenza che sono sí palesi e manifesti, sono sí ritualizzati nelle forme che la celebrazione funebre vuole, ma un funerale, una celebrazione della morte che questa volta non ha aiutato a svolgere la funzione di diluirne la sofferenza tra la famiglia e la comunità di appartenenza. Non ha svolto pienamente quella funzione di diluire nel legame la forte sofferenza che provoca il vuoto della perdita, della mancanza, poiché non gli è stata data voce.
Il non detto tra i familiari ha rimandato così ad ogni individuo della famiglia ad una solitudine le cui corde hanno risuonato di un dolore che nel tempo è diventato inarticolabile, fino a spingerlo ad esprimersi in sintomatologie e o categorie diagnostiche che non lo rappresenteranno, sebbene precise, mai pienamente.
Ripercorrendo chi era quella nonna-madre per lei, ricordandola nella presenza della sua assenza, si volgerà a declinare, a drenare e diluire la sofferenza fino a segnarne l’uscita attraverso un sogno non interpretato, ma che è risultato funzionale per lei. 
Sognare di togliersi un ciondolo, raffigurante la foto della nonna, per donarlo al collo della madre, le ha permesso di sentirsi così autorizzata a colmare un vuoto, per tornare alla vita.
 
 
 
 
 

Forme del “NO”

A volte la forme del “No” possono assumere vertici, ad una prima lettura, insondabili:
dalle più radicali e sofferenti a quelle più quotidiane, a quelle più complesse e intricate. Le forme del “No” ci portano ad un’affermazione della nostra soggettività che, a volte, fatichiamo ad esprimere. Nell’affermarci, però, possiamo fare un giro troppo lungo, tortuoso, un giro fatto di tappe che rispondono alle aspettative altrui. Nell’affermarci, il giro dell’educazione è basilare, ma quando rivestiamo l’altro di un qualcosa che pertiene per una maggior quota noi, allora cortocircuitiamo in un dialogo esclusivamente con noi stessi dove l’altro è solo l’attore di un personaggio che gli abbiamo affibbiato.
Così, la richiesta di un ottimo studente al corpo docente di essere bocciato all’ultimo anno di scuola superiore, può non suonare più così strana, strampalata. 
A quale appuntamento vuole mancare? Quale situazione si configurerebbe per lui dopo l’ultimo anno di scuola? Quale chiamata vuole disattendere? Disattendere quella chiamata produrrebbe in automatico un appuntamento a cui vorrebbe essere partecipe? O semplicemente, questa presa di posizione così articolata, produrrebbe degli effetti per lui sensati, permettendo la nascita di quello spazio psichico dove poter articolare una narrazione diversa, e quindi di non insistere e incistarsi nel “No”?
 
Spesso e volentieri siamo presi in alcune strane forme del “No” senza riuscire ad intravedere che sono prove; prove di una nostra soggettività che fatichiamo a reperire. Prove che per la loro indecifrabilitá, portano necessariamente in seno un enigma e dunque una domanda. Alcune richieste, alcuni atti, richiedono un testimone affinché possano essere messi in questione, decifrati.
 
Passare da uno stato di inermità e sofferenza patita ad una invenzione soggettiva e creativa non è cosa immediata. 
Passare da uno stato di inermità ad un’invenzione creativa potrebbe seguire tre passaggi, tre tempi: dal riconoscere, leggere e rileggere le nostre situazioni, i nostri inciampi, approdiamo all’accettazione di quello che è stato, come un dato di fatto.
Questo stato, questo dato, secondo la nostra rilettura, degrada il suo potere su di noi, sulla passività che in qualche modo manteniamo attivamente. Questo può dare luogo ad altro, ad un’invenzione creativa che può farci esprimere quello che è stato, in maniera diversa, più particolare.