Depressioni

Nell’ambito dei disturbi depressivi, vi è una riduzione del soggetto a sentirsi senza valore agli occhi di se stesso e degli altri. Un sentimento di disinserzione da se stessi e dal mondo, che si declina nella forma riconoscibile della sensazione dell’abbandono. Tristezza, indecisione, sensi di colpa, sfiducia in se stessi, disturbi del sonno e dell’appetito, mancanza di progettualità. O il rovescio della medaglia che si manifesta attraverso euforia, sbalzi d’umore, iperattività nel pensiero e nella parola con numerose progettualità monche.

Vissuti di cui non esiste una causa generalizzabile per tutti, ma alla cui radice è possibile rintracciare un sentimento di perdita. Abbiamo vissuto una perdita. La presenza di una perdita nella storia personale è un qualcosa che accomuna tutti ma che può aver avuto un peso, un’incidenza particolare. Un’incidenza che ha preso la forma dell’abbandono, di una delusione forte, intaccando l’immagine che si ha di se stessi.

Generalmente l’inizio di questa incrinatura combacia con avvenimenti evidenti ed altre volte invece hanno agito o agiscono sottotraccia, ma che si accumunano per il fatto di fare da cassa di risonanza rispetto ad altri accadimenti rintracciabili nella nostra storia personale. Qualcosa si è incrinato. Dunque una nuova perdita, che se il sentimento ci pare ingiustificabile, ne rievoca un’altra.

Sentimenti taciuti, negati, silenziati attraverso escamotage che hanno la funzione di ri -compensarci. Essere i più bravi in un campo della vita così come iperattività ed euforie, manifestano direttamente attraverso il corpo e l’umore la necessità di allontanarsi, di essere in altro luogo da ciò che ci ferisce. Quella perdita rivela così di essere ancora attaccata a noi, di essere in noi, facendoci vivere alla sua ombra. Non avendola ancora accettata ci fa permanere in un certo qual modo ancorati al passato.
Le diverse manifestazioni di questo lamento ci posizionano in una postura vicina all’immobilità, alla rinuncia, all’attesa di un risarcimento.

Per Lacan “cedere sul proprio desiderio” ci dice, è “un peccato”, una “viltà morale”.
La depressione clinica spesso si sostiene anche quando si è voltato le spalle ad un’aspirazione, un talento.
Le scuse sono molteplici, comode, ma paralizzanti.
Il lamento sostiene e copre questa nostra posizione.

Dare un nome, nominare queste perdite ci permette di trasformare quel sentimento di abbandono in altro, di togliere il velo del lamento per osservare cosa c’è dietro, di ri -orientarci dall’attesa del risarcimento che attendiamo per tornare all’amare. Scoprire le nostre aspirazioni sopite, le nostre vocazioni, i nostri talenti. Cambiando verso torniamo ad aprirci al mondo, tornando appunto ad amare.

Ossessioni

Le forme del rimandare. Tutto si riduce a questo.

Alle diverse declinazioni e formulazioni che possono prendere: dall’attività psichica dei pensieri fino alle compulsioni. Un girare a vuoto in cui non vi è avanzamento, apertura sul nuovo.

All’Interno di questa cornice tutto è atto al congelamento della propria vita. La ripetizione, che qui si manifesta più palesemente, nella tendenza a rimuginare, nel girare a vuoto sugli stessi argomenti o comportamenti fino a mettere in atto azioni dettate da imperativi interni, ci porta a scorgere come il non scegliere, l’imporsi del dubbio o la quotidiana e minuziosa amministrazione della vita siano tutte forme del rimandare.
Ma rimandare che cosa?
Rimandare un nostro coinvolgimento più profondo con noi stessi e dunque con l’Altro. Un rimandare un incontro autentico con la vita e tutti suoi disallineamenti fatti di imprevidibilitá, ingovernabilità, caducità, scoperta e spesso e volentieri, accadimenti fuori di senso.

La governabilità che punta all’ordinario, all’immutabile, al silenziare le discrepanze, rispondono all’Altro con la formula:

“faccio tutto quello che vuoi ma non mi chiedere niente” .

Logica sottotraccia che mette in luce la volontà di mettere fuori gioco un incontro, una discussione più profonda di sé. Si mette fuori gioco l’incontro con la radicale eterogeneità dell’Altro. Il suo carattere sconosciuto e imprevedibile che viene messo a tacere facendo ciò che vuole, ma per essere lasciati in pace.
Non mi chiedere niente. Non incontriamoci perchè non posso espormi.
Quand’anche raggiungiamo la quiete più assoluta che ci avvicina all’immobilità della vita nell’atto di preservarla e preservarci, attraverso le diverse forme che le problematiche di natura ossessiva comporta, quest’ultime possono radicalizzarsi ancora di più, poiché il tarlo del nostro desiderio, delle nostre aspirazioni, dei nostri talenti, per quanto lì soffochiamo, non si possono silenziare.
Il rimandare è nella sua forma più estesa, l’attesa di vivere. Allontanare la chiamata alla vita. Posticipare l’incontro con essa al fine di non esporci.
C’è qualcosa di più, in noi, che chiede parola e vale la pena di dargli ascolto.


Allentare la rigidità che le problematiche di natura ossessiva comporta, ci permetterà uno slancio diverso: verso un amore, una passione, una quotidianità rinnovata, facendocene tollerare ed amare tutte le sue contraddizioni interne, fatte di imprevidibilità, differenze, discrepanze e disallinamenti preziosi.

Ansia

Le diverse caratteristiche degli stati d’ansia e dell’ansia più in generale sono sensazioni che ogni persona ha potuto sperimentare nella sua vita. Rispetto il loro verificarsi, si possono riscontrare in condizioni specifiche, in condizioni più generali e meno strutturate, cosi come se ne può riscontrare una diversa dispiegabilità nel tempo e nei confronti di determinate persone.

Lo stato di allerta, l’agitazione non giustificabile e stati d’angoscia sono spesso legati ad un interrogativo sotteso, che si muove sottotraccia, inconscio. Un interrogativo che fa da leva, nelle sue diverse formulazioni e possibili declinazioni:

Chi sono io per l’Altro?

Le sue diverse e possibili declinazioni possono essere: sto facendo bene? Se mi comporto così, se sono così, sono accettabile? Spesso e volentieri possiamo scorgere in noi che a queste domande rispondiamo direttamente, vivendo con ciò che ne consegue: uno stato d’ansia sul possibile riscontro di un giudizio atteso, l’agitazione di un possibile giudizio nonostante l’evidente impossibilità di combaciare con l’idea che ci siamo fatti dell’aspettativa altrui.

Tutto ciò ha la conseguenza di aumentare la nostra azione difensiva o attraverso la compiacenza, funzionale nel breve periodo, o l’irrigidimento, gli stati d’allerta e perchè no, fino ad avere crisi di panico e stati angosciosi.

Il riconoscimento non passa attraverso tutto questo. Spesso non passa attraverso a ciò che supponiamo che gli altri vogliono da noi. Perchè, a ben vedere, siamo più o meno tutti uguali in momenti diversi.

Attacco di panico

Il sintomo psichico del panico, e tutta la sintomatologia che ne consegue, può essere portatore di un significato. L’ attacco di panico, con i suoi diversi gradi di quantità e intensità, non casualmente trova la sua origine in coincidenza di accadimenti importanti nella propria vita: la perdita del lavoro, di una persona cara, una separazione, un ricongiungimento. Dunque un cambiamento che più in generale può avvenire anche sotto traccia, ma che risulta essere rilevante per la nostra psiche, per noi. In talune circostanze si può realizzare di essersi spesi ad adempiere più le aspettative altrui che le proprie e di aver tralasciato i nostri desideri, le nostre aspirazioni; altre volte la sintomatologia si presenta così decontestualizzata dall’avvenimento importante della nostra vita, che non ci permette di scorgene il legame. Ci costringe piuttosto a reagire con carattere di emergenza: si va dal medico, al pronto soccorso, si eseguono esami per poterne trovare la causa organica fino a quando si giunge ad apprendere di soffrire di attacchi di panico. L’attaco di panico ci costringe, anche se per alcuni con carattere di emergenza, ad occuparci di noi stessi.

Rileggendo la nostra storia, possiamo scorgere, attraverso un percorso terapeutico, dove ci siamo lasciati travolgere. Quali sogni, quali aspirazioni abbiamo lasciato da parte? Per quale motivo non trasformare una crisi in un’occasione di crescita?